Circe: distillando il segreto della terra con Chiara Salvucci a MTM
Claudia Bianco – Scatti di Scena
“Si ha paura solo di ciò che non si conosce.
Noi non dobbiamo avere paura”.
Il grembo è un drappo
Dal buio si apre una breccia: Circe emerge portando con sé il peso di una divinità tentacolare. Il palco, grazie al sapiente gioco di texture e luci, evoca un brulicare invisibile sotto la superficie. Al centro, un velo non è solo scenografia, ma trappola simbolica. Sopra di esso si proiettano archetipi e giudizi, gabbie invisibili che hanno vincolato le donne per secoli. Salvucci lo squarcia con forza: è distruzione e creazione.
Circe, ora maga e ora voce della terra,
medium tra mito e materia, si libera.
E noi con essa.
La ribellione fertile
Esilio e ribellione diventano un’unica corrente creativa. Circe, cacciata, si immerge nella terra, scoprendo i segreti che essa offre solo a chi l’ascolta. Le erbe, le radici e i fiori come metafore di una conoscenza antica che sintetizza la tensione nella conciliazione degli opposti:
“Così nera la radice, così bianchi i fiori.
Deve contenere la potenza degli estremi”.
La frase è un incantesimo che ricorda: la ribellione non distrugge, rigenera.
Il riconoscimento è un riflesso in uno specchio d’acqua
La rivelazione arriva quando Circe si riflette in uno specchio d’acqua, soluzione primordiale ante litteram. È un atto euforico: non solo riconosce se stessa, ma si auto-conosce nel tutto, nel legame indissolubile con l’origine. La sua magia non è soprannaturale, ma biologica, essenziale, come la linfa negli alberi. Il pubblico assiste a una metamorfosi che è sì risveglio, ma anche ammonimento: si ha paura solo di ciò che si ignora.
“La mia riva non è cortese”.
Ulisse e l’animus
Gli uomini giungono tracotanti. Circe li affronta con strategie taglienti, difendendosi dalla loro arroganza. Poi, l’incontro con Ulisse. Non più un uomo da combattere, ma una controparte che la rispecchia. Ulisse porta con sé il peso del tempo, la misura di chi ha viaggiato ai margini del mondo, mentre Circe è fuori dalla cronologia umana. Qui la fragilità diventa forza, una ruga aspra e accogliente. La loro fusione è un incontro tra mare e riva.
L’amore, l’unica e sola stregoneria…
Alla fine, rimane “l’alba, la sua clemenza”. Mostrando una vulnerabilità che è tutt’altro che sottomissione, Circe semplicemente ascolta, ma la ruota è ciclica e Ulisse salpa. Lei lo accetta. Non è una vittoria né una sconfitta, ma una nuova consapevolezza. La tempesta si placa. E la terra torna protagonista: né nemica né alleata. Il sipario cala con dolcezza, ma il messaggio resta tagliente: la terra non è gentile né crudele. È viva.
Scritto da Giuseppina Mendola
Tutte le info su @mtmteatro e @compagniacorradodelia
drammaturgia: Corrado d’Elia, Chiara Salvucci
progetto, scene, interpretazione e regia: Chiara Salvucci
contributo drammaturgico: Cantiere Circe
aiuto regia: Angelo Donato Colombo
produzione: Compagnia Corrado d’Elia